Sessualità

Tra le obiezioni mosse alla psicoanalisi, fin dai suoi albori, sia dall'esterno che dall'interno del campo psicoanalitico, insistentemente si è ripetuta quella di «pansessualismo»: di ricondurre cioè alla sessualità ogni aspetto dell'essere umano, affermando che in esso la sessualità è tutto e può spiegare tutto. Talvolta con il corollario di alcune recriminazioni: propugnare una morale edonistica, minare alle fondamenta religione, autorità, moralità, svalutare i beni supremi dell'umanità riconducendo arte, amore, senso etico e sociale a moti pulsionali elementari e «animali» (Freud, 1922b). S. Freud respinse a più riprese questa obiezione, talvolta sarcasticamente, talaltra ricercandone le ragioni nella necessità sociale di salvaguardare i due pilastri su cui poggia la civiltà umana: il controllo della natura e la rinuncia pulsionale. Da un lato ribadì che la psicoanalisi sin dall'inizio ha distinto tra pulsioni sessuali e pulsioni dell'Io o autoconservative, senza mai pensare di spiegare nemmeno le nevrosi solo mediante la sessualità. Dall'altro affermò che certamente non vi è soltanto il fattore sessuale, anche perché, se così fosse, perderebbe di specificità diventando una sorta di energia indifferenziata monopolizzante alla Jung (Freud, 1915-17): tuttavia il sessuale è dappertutto, permea e muove tutte le attività umane (1905c).

Del resto, affermando la centralità della sessualità Freud non era solo, e non soltanto in ambito neurologico e psichiatrico. In campo evoluzionistico, Ch. Darwin avanzò l'ipotesi di una «selezione sessuale» che adatta ciascun sesso all'altro diffondendo ogni caratteristica utile nella competizione per l'accoppiamento, e che spiega le differenze tra i sessi e la rapida divergenza evolutiva tra le specie. E altresì molte caratteristiche dell'uomo, incluso il linguaggio, come già aveva notato H. Sperber, un glottologo citato da Freud, per il quale i suoni linguistici inizialmente servivano alla comunicazione sessuale e al richiamo del partner; e inclusa quella dimensione slegante, disadattiva e perfino mortifera della sessualità che nell'essere umano è per l'appunto una ricaduta dell'acquisizione biologica del linguaggio. Le caratteristiche selezionate sessualmente sono infatti efficaci proprio perché costituiscono un dispendio e un lusso per l'individuo (Zahavi e Zahavi, 1997) e possono accentuarsi fino ai limiti compatibili non soltanto con la sua esistenza, ma anche con quella della stessa specie.

La necessità suggerita dalla clinica di riconoscere nella sessualità la fonte di traumi psichici e la motivazione della rimozione di rappresentazioni dalla coscienza, e di attribuirle un ruolo di primo piano nella patogenesi dell'isteria e pili in generale nell'eziologia delle nevrosi, impose a Freud di postularne una concezione allargata, che l'avvicinava all'eros platonico. La sessualità umana, pertanto, non coincide con la genitalità né con la funzione riproduttiva, e ha un funzionamento molto più autonomo rispetto ad altre funzioni fisiologiche (digestione, respirazione, ecc.), con le quali peraltro può entrare in contrasto e integrarsi solo a prezzo di molte limitazioni e compromessi. E’, insomma, una sessualità fondamentalmente disadattiva. Del resto è l'unica funzione dell'organismo che, pur facendo leva sull'intenso piacere che può procurare, nell'interesse della specie trascende l'individuo, che risulta una mera appendice effimera del plasma germinale. Questa sessualità «estesa», difficile da delimitare rispetto ai comportamenti non sessuali, risulta straordinariamente plastica, le sue pulsioni potendo reciprocamente sostituirsi e compensarsi, mutare meta e oggetto, ed è di origine intersoggettiva, perché legata al fantasma e storicamente determinata dalle relazioni precoci del bambino. Per alcuni essa resta comunque di natura endogena, pur emergendo nel rapporto con l'adulto e appoggiandosi alle altre funzioni autoconservative e di attaccamento (Bowlby, 1969-82). Per altri (Laplanche, 1999) essa scaturisce invece dalla seduzione che l'adulto immancabilmente esercita all'interno dell'interazione autoconservativa simmetrica con l’infans, perché ha un inconscio di cui quest'ultimo è sprovvisto. Questa origine seduttiva «generalizzata» delinea il «sessuale» (multiplo e polimorfo) come il residuo inconscio della rimozione-simbolizzazione del «genere» (plurale) mediante il «sesso» (duale), conferendo peraltro ad esso una valenza intrinsecamente traumatica e primitivamente «femminile», per via dell'intrinseca passività del bambino di fronte all'effrazione seduttiva (André, 1996).

In ogni caso, la sessualità allargata non compare d'improvviso con la pubertà, ma si introduce come una sessualità infantile che mira al raggiungimento di sensazioni piacevoli in zone erogene, potenzialmente estensibili a tutto il corpo. Per di più, essendo organicamente esclusa dalla possibilità della riproduzione, è una sessualità necessariamente perversa e polimorfa, parziale nonostante possa in qualche modo organizzarsi mimando funzionalità e istintualità e strutturarsi nel complesso edipico (Freud, 1913a; 1923a), al di qua della differenza dei sessi, alla ricerca della tensione e senza acquietamento possibile, sempre a corto di legame e ambivalente (Laplanche, 1999). Infine non comprende soltanto il pregenitale, ma anche il «genitale» infantile, il «fallico». Con la pubertà a introdursi è dunque l'istinto sessuale nel frattempo maturato e la conseguente funzione riproduttiva, che dovranno però servirsi di un corpo e una psiche già organizzati dalla pulsione sessuale, con cui venire a patti e stabilire compromessi. Per tale motivo quella puberale è una vera e propria «crisi», un momento di rottura e di svolta, e la sessualità umana, per la sua caratteristica insorgenza in due tempi, analogamente al trauma (Freud, 1895), arriva sempre troppo presto (quella pulsionale) e troppo tardi (quella istintuale).

Dunque, relativamente alla sessualità, nell'essere umano l'acquisito viene prima dell'innato, la pulsione viene prima dell'istinto, il fantasma prima della funzione: quando arriva l'istinto sessuale, la poltrona è già occupata. Riassumendo le caratteristiche della sessualità umana, Freud (1938a) ne ribadisce tre punti: non ha inizio con la pubertà, ma si instaura poco dopo la nascita; occorre distinguervi nettamente il sessuale e il genitale, il primo comprendendo molte attività che non hanno nulla a che fare con i genitali; comprende la funzione di ottenere piacere da determinate zone del corpo, che solo successivamente, e sempre incompletamente e precariamente, è posta al servizio della riproduzione.

Sullo sfondo di questo originario polimorfismo perverso della sessualità infantile, che apre la possibilità di «neosessualità» (Mc-Dougall, 1982; Barale, 2003b), si delinea un'intrinseca bisessualità psichica, una costitutiva disposizione maschile e femminile in entrambi i sessi, causa di conflitti nell'assunzione del proprio sesso anche mediante i processi identificatori, di cui può essere nel contempo la base e l'effetto. La nozione di bisessualità era già ben presente nella letteratura scientifica di fine '800, in particolare nella biologia evoluzionistica allora in espansione. Fu parzialmente riproposto a Freud da W. Fliess, che ne concettualizzava una periodicità ipotizzando che la rimozione prendesse di mira le rappresentazioni e le tendenze attribuibili al sesso opposto. Freud l'adottò rapidamente, riferendovisi spesso e riprendendola nella cornice del complesso di castrazione e del rifiuto della femminilità per entrambi i sessi come limite del campo psicologico e dato di fatto biologico, per ammettere infine (1929) che presentava ancora molti lati oscuri. Essa comunque fonda l'ipotesi di una bisessualità psichica sui dati anatomici ed embriologici di una struttura originariamente bisessuale dell'organismo umano, che lascerebbe dei residui nel passaggio evolutivo alla monosessualità e nello sviluppo ontogenetico. E presuppone una distinzione maschile/femminile che tende spesso a sfumare rispettivamente in quella tra attività e passività (Napolitano, 2002).

Nel concepire la bisessualità, si è poi oscillato tra l'idea di una sua potenzialità patogena - la persistenza di desideri sia maschili che femminili potendo essere motivo di conflitto - e l'idea che invece essa rappresenti un indispensabile elemento di mediazione, anche intrapsichico, fondamentale per la creatività. Come pure si è oscillato tra il reputarla un concetto fondamentale e il ritenere invece che sia più opportuno sostituirla con la distinzione tra una disposizione psichica attinente alla relazione primaria e alla continuità dell'essere e una all'investimento pulsionale e all'avere, definibili solo convenzionalmente come «femminile» e «maschile».

Ben presto la centralità della sessualità affermata da Freud fu messa in discussione, nel campo psicoanalitico, confutando la specificità sessuale dell'energia che muove lo psichismo oppure subordinandola all'interno di un più fondamentale e istintivo bisogno di potenza. Tale movimento desessualizzante è proseguito per tutto il secolo scorso, a partire dal rilievo dato all'aggressività (Klein, 1948), al pregenitale e alla relazione d'oggetto, erroneamente intesi come non sessuali, nonché al narcisismo, analogamente concepito come non pulsionale (Kohut, 1971). In ogni caso, sempre più spesso la sessualità è stata considerata una delle tante motivazioni che muovono l'essere umano, e sicuramente non fra le più precoci, spesso riducendola nuovamente al genitale e al comportamento manifesto, intravedendovi un prodotto di degradazione di motivi più fondanti e una difesa da angosce e impulsi più primitivi e basici. Del resto questo movimento della teoria, denunciato da alcuni (Green, 1997), si basa sulla desessualizzazione - o neutralizzazione - che è un meccanismo di difesa o un destino pulsionale, peraltro connesso non linearmente con la sublimazione, e ha inoltre un corrispettivo nello stesso sviluppo dell'essere umano (Laplanche, 1999). Infatti con il narcisismo - una «nuova azione psichica» (Freud, 1914d) che mette in forma l'autoerotismo - si determina una profonda mutazione della sessualità che ne scopre la dimensione legata e legante che, anziché disorganizzare e frammentare, produce unità e totalità. Da un lato, questa sessualità legante è inevitabilmente associata a una desessualizzazione, a una rinuncia alle mete sessuali specifiche (Freud, 1922b). Dall'altro lato, attraverso l'immagine dell'altro corpo come totalità (il corpo altrui, ma anche il proprio corpo come altro), essa investe l'Io conferendogli un'unità che non possiede primitivamente, mediante la quale può proporsi come oggetto dell'investimento pulsionale e così drenarne e serbarne l'energia con cui farsi carico dell'autoconservazione e dell'adattamento dell'organismo e alimentare gli altri registri motivazionali, proclamandosi rappresentante della totalità della persona.

ALBERTO LUCHETTI